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Uccideteli tutti Dio riconoscerà i suoi? NECA EOS OMNES

Roma, 17/10/2018 “Quegli anticorruttori già condannati”: un’inchiesta che distorce la realtà”.


Così Cgil, Cisl, Uil e l’Unione dei Segretari scrivono al Corriere della Sera sull’articolo apparso nell’edizione del 15 ottobre
L’inchiesta “Quegli anticorruttori già condannati” a firma di Milena Gabanelli racconta una visione distorta della realtà, con gravi errori e lacune, e mette in piedi una vera e propria gogna pubblica per dirigenti dello Stato, senza che sia stato offerto loro un contraddittorio, nonché allo stesso tempo operata un’indagine accurata.
Aldilà di alcune pur importanti inesattezze del servizio – basti dire che i Segretari comunali e Provinciali non sono affatto, come sostiene Gabanelli, 7 mila ma circa 3 mila, ovvero meno della metà – ciò che ci preme evidenziare è che dal servizio si trae l’impressione di una generalizzata presunta inaffidabilità dei Segretari nello svolgere tale funzione, e, quel che è peggio, che si tratti di una figura scelta semplicemente e discrezionalmente dai
Sindaci, quasi come se i Segretari fossero una sorta di sottobosco della politica.
Al contrario è bene che si sappia che i Segretari sono Dirigenti Pubblici, anzi sono fra le figure dirigenziali più qualificate dell’intera Pubblica Amministrazione. D’altra parte si suppone che sia proprio questa alta qualificazione alla base della scelta legislativa di affidare di norma al Segretario, che è il dirigente di vertice degli Enti Locali, anche la funzione di responsabile dell’anticorruzione nei comuni e nelle province.
Infine, un passaggio per coloro che sono citati per nome e cognome e che, purtroppo, nel servizio sono assimilati fra loro come fossero esempi lampanti di corruzione impunita. Non conosciamo ogni vicenda di ognuno dei casi citati, ma sappiamo che ogni vicenda ha dietro un uomo o una donna in carne ed ossa, e sappiamo che lavorare nella Pubblica Amministrazione è oggi più difficile che mai. Tutti riconoscono che le norme sono spesso contraddittorie e farraginose, un dedalo nel quale anche i più esperti si perdono, perciò accade più spesso di quanto non si creda che ad essere sottoposti al vaglio della Magistratura (civile o penale o contabile) siano dirigenti che in perfetta buona fede hanno compiuto atti che ritenevano essere corretti. Spiace pensare che alcuni di loro abbiano speso una vita professionale di impegno e che soffrano oggi un giudizio pubblico senza
appello per fatti ancora tutti da vagliare.
Fp Cgil, Cisl Fp, Uil Fpl e Unione Nazionale Segretari Comunali e Provinciali

 

Cantone: «La prevenzione della corruzione e i poteri dell’Autorità»

di Raffaele Cantone

Caro direttore, 
con la sua ottima inchiesta «Anticorruttori ma già condannati», ieri Milena Gabanelli ha posto un problema assai serio: il rischio che la figura di Responsabile della prevenzione della corruzione (Rpc), prevista dalla legge Severino, sia oggetto di pressioni politiche o quel ruolo sia ricoperto da dirigenti dalla condotta discutibile, sminuendo così una funzione fondamentale per contrastare il malaffare nella Pubblica amministrazione. 

È un fronte che da tempo vede impegnata l’Anac, che agli Rpcdedica annualmente un’apposita giornata di formazione anche per consentire di esercitare al meglio il loro ruolo. In questa stessa prospettiva, oltre a raccomandare alle amministrazioni, nel Piano Nazionale anticorruzione, di non nominare a tale carica chi non abbia dato prova «nel tempo di comportamento integerrimo», la scorsa estate l’Anac ha anche emanato un apposito Regolamento per tutelare chi svolge correttamente il proprio dovere, rafforzando i meccanismi di tutela della sua indipendenza, attraverso uno specifico istituto previsto dalla legge e cioè la richiesta di riesame dei provvedimenti di revoca degli Rpc, quando vi è il sospetto che queste revoche siano dettate da ragioni ritorsive o discriminatorie. 

Per evitare equivoci, però, certamente non voluti dalla bravissima giornalista è necessario fare alcune precisazioni. Comprendo la necessità su temi complessi di semplificare i messaggi ma scrivere che gli Rpc sono i «responsabili Anac» non è in linea con la realtà e con quanto prevede la legge. L’Autorità nazionale anticorruzione, infatti, non ha alcun potere nella loro nomina né alcun ruolo rispetto al loro operato. Gli Rpc sono dipendenti della singola amministrazione e questo incarico è conferito dai vertici della amministrazione di appartenenza, senza nessuna interlocuzione con l’Anac. Se l’Autorità viene a conoscenza in qualunque modo di comportamenti non corretti, segnala tale dato all’Amministrazione di appartenenza chiedendo anche di sostituire gli Rpc. Sono numerosi i casi in cui ciò è avvenuto e, ad onor del vero, quasi sempre le amministrazioni si sono adeguate. 

Quanto all’affermazione contenuta nell’inchiesta secondo cui non si sa in quali casi gli Rpc abbiano segnalato il verificarsi di fatti di corruzione, va chiarito che non si tratta di ufficiali di polizia né giudiziaria né di sicurezza ma di soggetti chiamati a far rispettare un impianto di norme (dai piani di prevenzione, ai codici etici alle norme sulla trasparenza) che, anche secondo i migliori standard internazionali, hanno come obiettivo di provare ad evitare che la corruzione si verifichi! Infine, mi faccia però spezzare una lancia in favore degli Rpc; i casi indicati dalla Gabanelli sono gravi e le amministrazioni che non rimuovono quelli nominati in modo inopportuno violano lo spirito della legge; verificheremo tutti i casi ed interverremo di conseguenza. È però giusto ricordare che le amministrazioni tenute a nominare un Rpc sono almeno 15 mila.

Ci possono essere certamente mele marce (e non sono mancati persino casi di arresti di Rpc) ma va evidenziato anche che sono tanti coloro che stanno provando a vincere una sfida difficilissima; quella di imporre i valori dell’anticorruzione dall’interno, senza aspettare indagini, manette ed agenti provocatori.